giovedì 2 agosto 2012

IL PADRONE DELLA ILVA DI TARANTO

Di Loris Campetti (Il Manifesto)

Un padrone d'altri tempi, dunque un padrone d'oggi. Il sistema costruito nel dopoguerra è stato smantellato e la democrazia nelle relazioni sindacali sfuma rapidamente sotto l'influenza della filosofia di Marchionne, supportata da una politica commissariata. Per questo Emilio Riva, così antico da ricordare i padroni delle ferriere, è perfetto per il nuovo ordine.
Il "rottamaio" lo chiamano, figlio d'arte di un mercante di rottami ferrosi. Tra ferro e ruggine Riva ha iniziato la sua carriera di padrone negli anni Cinquanta. Gran parte dei suoi 86 anni li ha passati accumulando ferro, acciaierie, soldi e rivolte popolari e oggi il suo è un vero impero industriale - tra i primi 5 in Europa e tra i primi dieci a livello mondiale - con fabbriche diffuse tra l'Italia, la Francia, la Germania, la Spagna... Emilio Riva prova fastidio per ogni forma sindacale, lui preferisce trattare direttamente con i "suoi" operai a cui non lesina pranzi, cene, piatti commemorativi in argento.
Ma siccome l'Italia non è ancora come la vorrebbe lui, ecco che un qualche rapporto con i sindacati deve pur averlo. A modo suo, naturalmente. Mettendo a disposizione i suoi mezzi per organizzare rivolte, per esempio, come emerse nel corso del conflitto esploso a Genova con la popolazione di Cornigliano stufa di convivere con un altoforno e i suoi portati di morte, collocato nel cuore della città. Il nemico contro cui Riva cerca l'alleanza operaia e la complicità sindacale varia di volta in volta: le istituzioni locali, la popolazione, la magistratura. Io vi do lavoro, dice, e quelli lì ve lo vogliono togliere sbandierando problemi ambientali. Preferite l'aria pulita o lo stipendio sicuro a fine mese?
Ha funzionato troppo a lungo questo ricatto, rafforzato dal tentativo di collusione con le organizzazioni sindacali. Molti - gente maligna - si sono interrogati per anni sulle straordinarie performances della Uilm nello stabilimento di Taranto e dei tanti giovani assunti con la tessera presto in tasca del sindacato di Luigi Angeletti. Ma si tratterà sicuramente di un caso oppure della grande capacità di proselitismo di questo sindacato. I fischi operai di venerdì al segretario generale della Uilm, Rocco Palombella e gli applausi a scena aperta a quello della Fiom, Maurizio Landini, rappresentano una novità che lascia sperare. Landini infatti sostiene che il nemico non è il magistrato, il padrone resta la controparte vera dei lavoratori. Tanto più che il padrone si chiama Riva ed è il responsabile, sia pure non unico, dei danni ambientali prodotti dai suoi rottami e del rischio di scontro tra chi lavora e chi muore d'inquinamento. Tanto più che tra le vittime di quell'inquinamento e di quelle condizioni di mancata sicurezza ci sono proprio loro, gli operai dell'Ilva. Anche se Riva è sempre pronto a pagare la costruzione dei Cral aziendali.
Emilio è padre di una nutrita schiera di figlioli che stanno seguendo le orme del genitore e del nonno rottamatore. Anche se non sempre l'amore fraterno l'ha vinta sulla meschinità degli interessi, finché il padre ottantaseienne si manterrà in buona salute a comandare, in casa e in fabbrica, sarà sempre lui. Che distribuisce ruoli di responsabilità restando sempre in famiglia: Emilio Riva non ne vuole sapere dei manager presi da fuori. Si dice che a un passo dall'acquisto dell'Arcelor, multinazionale francese molto importante, Riva abbia mandato tutto a monte proprio per evitare l'eredità di manager esterni, dunque non graditi. Tornando alla collusione sindacale, c'è un aneddoto interessante raccontatoci da un operaio-sindacalista che con Emilio Riva ha avuto modo di incontrarsi e trattare: «Io facevo parte del Cae - il comitato aziendale europeo del gruppo industriale, di cui fanno parte rappresentanti dell'azienda e dei sindacati - e una volta per una riunione fummo trasferiti in pullman dall'azienda in una località dell'ex Ddr. Anzi, il pullman si fermò in un autogrill e io chiesi al capo del personale: che ci facciamo qui? E lui: la riunione, mica siamo in villeggiatura, però domani vi porto a mangiare a Berlino. Devo aggiungere che in pullman c'erano anche i nostri genovesi, con le mogli».
Autoritario, paternalista, antimeridionale padano convinto a meno che non si tratti di principesse, come la sua seconda moglie etiope. Patriota della mitica cordata Alitalia messa su da Berlusconi, ma con amicizie impegnative a sinistra. Ovunque ha comprato aziende, da privati o approfittando come a Taranto delle privatizzazioni a perdere, cioè all'italiana, Emilio Riva ha portato la zizzania tra i lavoratori e le popolazioni esasperando le contraddizioni. Ritardi nelle modifiche dell'organizzazione del lavoro e nei risanamenti in nome del profitto (e del lavoro, diceva agli operai), salvo poi ammettere, come fece anni dopo la chiusura del ciclo a caldo a Cornigliano, che un impianto di quel tipo in piena città non aveva senso, come per altro avevano sempre sostenuto il comitato contro l'altoforno e le donne di Cornigliano.
Un patriarca del capitalismo italiano che si incazza se lo chiami capitalista e non "imprenditore", meglio ancora "datore di lavoro"; un vero ufficio di collocamento per figli di primo e secondo letto e nipoti da cui pretende obbedienza cieca. Ecco chi è Emilio Riva, uno da cui sarebbe meglio tenersi alla larga.

NdR - Attualmente Emilio Riva ed il figlio Nicola sono agli arresti per ordine del Tribunale di Taranto.

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