giovedì 16 agosto 2012

ILVA DI TARANTO: IL PUNTO DI VISTA DI UNA FILOSOFA

L'autrice dell'articolo che segue, pubblicato dal quotidiano La Repubblica, è Michela Marzano professoressa di Filosofia Morale e Politica e Direttrice del Dipartimento di Scienze Sociali presso l'Università di Parigi Descartes.
La professoressa ha un blog che potete visitare a questo link.

L'articolo mi è molto piaciuto perchè affronta un problema enorme offrendo un punto di vista originale che si discosta dalla solita contrapposizione lavoro/salute.

L’ILVA E LA TRAPPOLA DEL FALSO DILEMMA
 
Fino a quan­do si con­ti­nue­rà a con­trap­por­re il di­rit­to al la­vo­ro al di­rit­to al­la so­prav­vi­ven­za, e quin­di il sa­la­rio al­la sa­lu­te, non si tro­ve­rà al­cu­na via d’u­sci­ta al pro­ble­ma del­l’Il­va.
Per­ché mes­so in que­sti ter­mi­ni, più che di un pro­ble­ma si trat­ta di un di­lem­ma mo­ra­le. E co­me sap­pia­mo tut­ti, un di­lem­ma eti­co non ha, per de­fi­ni­zio­ne, al­cu­na so­lu­zio­ne. I di­lem­mi so­no dram­ma­ti­ci, di­spe­ra­ti, sen­za sboc­co. Per­ché si sba­glia sem­pre e co­mun­que. Per­ché qua­le che sia la de­ci­sio­ne che si pren­da, si fi­ni­sce poi sem­pre col rim­pian­ge­re quel­lo che si è det­to o fat­to. Co­me il ce­le­bre “di­lem­ma di So­phie”, rac­con­ta­to nel ro­man­zo di Wil­liam Sty­ron, che rac­con­ta di co­me una gio­va­ne ebrea po­lac­ca de­por­ta­ta ad Au­sch­wi­tz con i fi­gli fos­se sta­ta per­ver­sa­men­te co­stret­ta a sce­glie­re dai na­zi­sti qua­le dei due far mo­ri­re. Se So­phie non sce­glie, mo­ri­ran­no tut­ti e due. Se in­ve­ce ne sce­glie uno so­lo, l’al­tro avrà la vi­ta sal­va. Da un pun­to di vi­sta stret­ta­men­te uti­li­ta­ri­sti­co e ma­te­ma­ti­co, So­phie do­vreb­be sal­var­ne al­me­no uno. Ma co­me può una ma­dre sce­glie­re qua­le fi­glio me­ri­ta o me­no di vi­ve­re?
Nel ro­man­zo, do­po al­cu­ni mi­nu­ti di smar­ri­men­to, So­phie de­ci­de­rà di sal­va­re Jan, sa­cri­fi­can­do la pic­co­la Eva. Ma pa­ghe­rà la de­ci­sio­ne pre­sa per il re­sto del­la vi­ta, tor­men­ta­ta dai sen­si di col­pa e dal­la di­spe­ra­zio­ne. Per­ché in fon­do, an­che se da un pun­to di vi­sta ra­zio­na­le sal­va­re una vi­ta è me­glio che non sal­var­ne nes­su­na, da un pun­to di vi­sta esi­sten­zia­le ed eti­co esi­sto­no scel­te che non si pos­so­no fa­re. Co­me nel ca­so del­la scel­ta im­pos­si­bi­le tra sa­lu­te e la­vo­ro. A me­no di non co­strin­ge­re la gen­te a di­fen­de­re l’in­di­fen­di­bi­le: «Pre­fe­ri­sco mo­ri­re tra ven­t’an­ni di can­cro, piut­to­sto che tra po­chi me­si di fa­me», si sen­te og­gi di­chia­ra­re da cer­ti la­vo­ra­to­ri del­l’Il­va che han­no pau­ra di per­de­re il pro­prio po­sto di la­vo­ro. «Pre­fe­ri­sco mo­ri­re su­bi­to di fa­me, piut­to­sto che ve­de­re i miei fi­gli de­pe­ri­re e am­ma­lar­si», ri­spon­do­no al­cu­ni am­bien­ta­li­sti lo­ca­li.
In real­tà, nel ca­so del­l’Il­va è un gra­ve er­ro­re in­si­ste­re nel pre­sen­ta­re il pro­ble­ma in ter­mi­ni di op­po­si­zio­ne, se non ad­di­rit­tu­ra di ri­cat­to, tra di­rit­to al la­vo­ro e di­rit­to al­la sa­lu­te. No­no­stan­te le ap­pa­ren­ze, in­fat­ti, si è di fron­te a quel­lo che fi­lo­so­fi­ca­men­te par­lan­do si po­treb­be de­fi­ni­re un “fal­so di­lem­ma”: si as­so­lu­tiz­za­no i va­lo­ri chia­ve in gio­co, os­sia la sa­lu­te e il la­vo­ro, mo­stran­do che l’u­no si op­po­ne ine­so­ra­bil­men­te al­l’al­tro, e che l’u­ni­co mo­do per usci­re dal­l’im­pas­se è quel­lo di sa­cri­fi­car­ne uno dei due. È la tec­ni­ca ar­go­men­ta­ti­va del­l’aut- aut. Per con­clu­de­re ci­ni­ca­men­te che“ ter­tium non da­tur”.
Con tut­ti i dram­mi nes­si e con­nes­si. Co­me in fon­do ac­ca­de ogni qual­vol­ta ci si tro­vi di fron­te ad una scel­ta sec­ca, im­pos­si­bi­le, di­su­ma­na. Ep­pu­re i pro­gres­si del­la tec­no­lo­gia e l’e­sem­pio di mol­ti al­tri pae­si eu­ro­pei mo­stra­no che non c’è al­cun bi­so­gno di con­trap­por­re sa­lu­te e la­vo­ro. An­zi, il la­vo­ro e la sa­lu­te van­no di pa­ri pas­so, co­me ha ri­ba­di­to ie­ri il mi­ni­stro del­l’Am­bien­te Cli­ni: non ha al­cun sen­so op­por­re ri­sa­na­men­to am­bien­ta­le e pro­du­zio­ne di ac­cia­io per­ché è pro­prio gra­zie al­la par­te­ci­pa­zio­ne at­ti­va del­l’Il­va che si po­trà pro­ce­de­re al ri­sa­na­men­to de­gli im­pian­ti.
Cer­to, la de­ci­sio­ne del 10 ago­sto del gip di Ta­ran­to Pa­tri­zia To­di­sco di bloc­ca­re la pro­du­zio­ne in at­te­sa del­la bo­ni­fi­ca sem­bra an­co­ra una vol­ta ri­ba­di­re il fat­to che, con l’Il­va, ci si tro­va di fron­te pro­prio ad un di­lem­ma. Non è un ca­so che le po­le­mi­che sia­no su­bi­to ri­par­ti­te. Per il pre­si­den­te dei Ver­di e per An­to­nio di Pie­tro, ad esem­pio, i ma­gi­stra­ti sta­reb­be­ro so­lo fa­cen­do il lo­ro do­ve­re di­fen­den­do il di­rit­to al­la sa­lu­te. Per i di­fen­so­ri ad ol­tran­za del-l’at­ti­vi­tà eco­no­mi­ca, la de­ci­sio­ne del gip sa­reb­be in­ve­ce la pro­va del fat­to che l’I­ta­lia non of­fre al­cu­na chan­ce al­lo svi­lup­po in­du­stria­le, e che non sa­reb­be al­tro che un pae­se “an­ti­qua­to e pit­to­re­sco”, per uti­liz­za­re, estra­po­lan­do­li, i ter­mi­ni del New York Ti­mes. Ie­ri il go­ver­no ha uf­fi­cia­liz­za­to il ri­cor­so al­la Con­sul­ta apren­do un con­flit­to con la ma­gi­stra­tu­ra pu­glie­se. Ma quan­do il di­bat­ti­to si po­la­riz­za in que­sto mo­do, è dif­fi­ci­le tro­va­re una so­lu­zio­ne, pro­prio per­ché ter­tium non da­tur.
Spe­ria­mo al­lo­ra di usci­re da que­sto “fal­so di­lem­ma” e ri­tro­va­re la via del­la ra­gio­ne, in­ve­ce di ce­de­re al­le si­re­ne del­la dia­let­ti­ca so­fi­sta. Non so­lo per sal­va­re al tem­po stes­so il lavo­ro e la sa­lu­te, ma an­che per evi­ta­re che, in no­me del­la sal­va­guar­dia del­l’am­bien­te, sia pro­prio l’am­bien­te ad es­se­re sa­cri­fi­ca­to. Chi può es­se­re co­sì in­ge­nuo da pen­sa­re che un pro­ble­ma co­me quel­lo del ri­sa­na­men­to am­bien­ta­le di zo­ne già for­te­men­te dan­neg­gia­te pos­sa es­se­re pre­so in con­si­de­ra­zio­ne e ri­sol­to se l’Il­va ces­sa ogni at­ti­vi­tà? È so­lo un esem­pio. Che non de­ve far per­de­re di vi­sta la ne­ces­si­tà di por­ta­re avan­ti un’at­ti­vi­tà e una pro­du­zio­ne so­ste­ni­bi­le. Ma tal­vol­ta la fi­lo­so­fia del sen­so co­mu­ne per­met­te, mol­to più del­l’i­dea­li­smo, di non ca­de­re nel­la trap­po­la dei fal­si di­lem­mi che, qua­si sem­pre, fi­ni­sco­no in tra­ge­dia.

Nessun commento:

Posta un commento